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Eterna, città dello spirito, del popolo, di pellegrini e di prìncipi, sacra e dissacrante, godereccia, caput mundi: di Roma hanno detto così e molto di più i poeti di ogni epoca. Dediche d’amore che hanno l’impulsività del colpo di fulmine e invettive che rimbombano come i tuoni di un temporale estivo, composte in versi e in prosa, trascritte, tradotte, incise e scolpite, elevate nei capolavori d’architettura dentro cui viviamo ancora oggi o esposte sotto la statua di Pasquino – passare da lì per credere.

 

 

Duemilasettecentosettantasette anni, che non si scrive unito ma ci prendiamo la licenza di farlo perché rende meglio l’idea di questa grandezza che dall’ab Urbe condita di Romolo, il 21 aprile del 753 avanti Cristo, è longeva perché ha la peculiarità di resistere mutando, di accogliere senza trattenere.

 

Siete mai entrati in un bar del centro, di quelli che da fuori sono un po’ fatiscenti e poi dentro hanno le volte a crociera affrescate, dove il turista si ferma per una pizza con la mortadella (pizza e mortazza, per dirla come si dice qui, un patrimonio della tradizione urban-pop capitolina) e la signora uscita dalla messa in piega prende un caffè aspettando l’ora di pranzo? Da lì passano ancora quei caratteri che da soli ci somigliano, sono figli del nostro tempo, e insieme diventano attori di una commedia antica di quasi tre millenni. Ecco            quella bellezza del mondo da assaporare con l’animula vagula blandula – l’anima che vaga languida – e di cui l’imperatore Adriano dice di sentirsi responsabile nelle Memorie che Marguerite Yurcenar ha redatto per lui secoli dopo. Ci è sembrata talmente vera nei frammenti di questa quotidianità, che abbiamo voluto imprimerla nella collezione Pantheon.

 

Dai due orecchini, i grandi e i Dome che ne descrivono il profilo ai Little da portare come si porta un simbolo, dal ciondolo che esalta una sezione della volta vista dall’interno, all’armoniosa geometria dell’anello contrarié. La sentiamo passeggiando sulle strade larghe e ariose che al mattino si fondono in prospettiva con il cielo che qui è quasi sempre chiaro; la tocchiamo quando ci appoggiamo a una colonna della Rotonda o ci sdraiamo al sole sul declivio verde dell’Isola Tiberina o di Villa Borghese; ci sommerge quando l’oro del tramonto inonda i vicoli dove perdersi è un piacere. Per noi ha la forma perfetta della cupola emisferica più grande del mondo e il nostro nuovo Sigillo la celebra sintetizzando in scala il suo magnifico sistema a cinque ordini a ventotto cassettoni decrescenti proiettati dinamicamente verso l’oculo centrale.

 

Dalla leggenda del suo primo giorno al motto Rome wasn’t built in a day che dal Medioevo è ancora nel parlato comune, il Natale di Roma è tra le ricorrenze che non possiamo assolutamente mancare. Quest’anno abbiamo scelto di festeggiarlo mettendovi al dito il simbolo stesso della regalità dei cesari che proprio il 21 aprile, a mezzogiorno esatto, varcavano in trionfo la colossale porta in bronzo del Pantheon e salutavano la capitale in festa, splendenti in un fascio di luce che solo a quell’ora e solo in questa data, si inchina in uno dei più sorprendenti colpi di teatro della storia.

 

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